• Pubblicata il
  • Autore: Al garcia
  • Pubblicata il
  • Autore: Al garcia

Carmela - Cuneo Trasgressiva

Quella mattina mi ero svegliato di buon umore.

Nel gergo di Sara, la mia ragazza, il mio risveglio si classifica in quel modo se “lui si alza prima di me” ovvero se apro gli occhi con una erezione. Probabilmente è una cosa comune a molti altri uomini, ma per me non c’è nulla come il mattino appena sveglio per essere eccitato.
Certo nelle giornate lavorative non è sempre facile, se si indulge al sesso poi si fa tardi in ufficio e i cazziatoni dai capi (sia per me che per Sara) fioccano, ma nei week end o quando si è in ferie è difficile mettersi in piedi senza averlo fatto…

Quel giorno io avevo programmato di stare in ferie, per via di certi lavori di giardinaggio da fare, ma per Sara era giornata lavorativa.

Al suono della sveglia, come al solito, si volse verso di me per un abbraccio di buon giorno e… lo sentì. Io sono solito dormire nudo, lei con corte camicie da notte, e al primo contatto avvertì subito qualcosa di ingombrante là sotto.

La mia erezione era più potente del solito: probabilmente erano i postumi, e i ricordi, della sera precedente. Eravamo usciti, con amici: una distesa all’aperto, tavolini per bere qualcosa di dissetante per contrastare la calura estiva, due chiacchiere e musica per fare quattro salti.

Sara adora ballare. Io adoro vederla ballare. Piccolina ma formosetta, quando si agita in un vestitino succinto su tacchi da dodici centimetri, in un attimo mi manda in paradiso. E lei lo sa.

Se vuole farmi passare la serata infoiato come un mandrillo, sa come fare. E la sera prima lo aveva fatto: vestitino nero ultracorto, profonda apertura sulla schiena, giù fino a rivelare il laccetto del perizoma nero, appositamente tirato in alto perché fosse ben visibile, scollatura abissale che ad ogni gesto le tette della quarta fanno capolino, ce ne è abbastanza per far tirare fuori la lingua agli amici della compagnia, che sbirciano ammiccando, e per ottenere occhiatacce finto scandalizzate dalle amiche, che non sempre tollerano un tale sfacciato esibizionismo nel gruppo. Sara lo sa, e non se ne cura: è realmente un po’ esibizionista, le piace stupire, attirare l’attenzione, soprattutto le piace eccitarmi.

Per completare l’opera, le calzature: sandali neri, di vernice, laccetto alla caviglia, due sottilissime fascette a cingere le dita, tacco dodici.

Alle dita profusione di anellini (sa che ne vado pazzo, qualche volta ne ha infilati anche dieci, uno per ogni dito, e non vi dico la mia reazione, ma se deve ballare ne mette meno perché poi le fanno male i piedi…), le unghie a lunghezza estiva (che mi fa impazzire ma che è compatibile solo con scarpe aperte in punta, d’inverno decolleté sfilate e stivali a punta non lo consentono, con mio rammarico).

Così la sera prima era trascorsa con lei che seduta al mio fianco accavallava le gambe e dondolava smodatamente i piedi, poco mancava che mi sfiorassero il naso, e tra un drink e l’altro ero già arrapato come pochi. Devo dire che anche le amiche, forse per senso di emulazione o che altro, erano particolarmente troiose quella sera e spacchi inguinali, perizomi (per quelle che lo indossavano…), e tacchi a spillo si sprecavano. Beh, amo la mia ragazza, ma se vedo una bella zoccola, faccio fatica a non apprezzare…

Comunque quando le ragazze iniziarono a ballare, per me non ce ne era più per nessuna: perché nessuna ha la grazia che ha Sara nel danzare, nessuna mi eccita più di lei con quei movimenti sinuosi… lei lo sa e quando balla spesso mi si para davanti e mi fissa negli occhi.

Quella sera io fissavo i suoi occhi, il suo sorriso invitante, il suo seno attraverso la generosa scollatura, il perizoma malandrino, i suoi magnifici piedi. Soprattutto i suoi fantastici sensuali piedi, intenti a muoversi con grazia, stretti tra i lacci sottili dei sandali, le dita inanellate che rilucevano, i talloni che ad ogni passo si staccavano dalla soletta dei sandali per poi riappoggiarvisi e ancora allontanarsi: io potevo solo immaginare quei contatti e quei distacchi tra le piante sudate e i sandali odorosi…

Non ce la facevo più. A un certo punto mi alzai di scatto salii sulla pista da ballo, la afferrai per un braccio e la trascinai fuori. Un cenno ad amici e amiche, come dire “…scusate un attimo” e via verso il parcheggio. Lei sorrideva, ben conscia.

Le aprii la portiera, la feci accomodare sul seggiolino, salii anch’io, mi piazzai di fronte a lei a cavalcioni, le gambe aperte e la schiena ingobbita contro la capote dell’auto. Non potevo più resistere, e lei lo sapeva e continuava a sorridere. In un attimo i pantaloni erano aperti e il palo caldo e pulsante, sudato e puzzolente, tra le mie mani, la cappella lucida e violacea piantata tra le sue labbra.

“Evviva” mormorò Sara con un mezzo sorriso, dischiudendo le labbra per accogliere quel serpente caldo di carne pulsante nella sua bocca. “Dai” le intimai io, “Dai che sono allo stremo” la supplicai ficcandoglielo fino in gola con colpo deciso, rischiando di soffocarla…

Lei non si scompose, nel dischiudere le labbra e lasciare che il mio membro si insinuasse nella sua cavità: sapeva già come sarebbe andata a finire, e con colpi sapienti cominciò a lavorarmelo con le labbra e la lingua, mentre mi infilava una mano tra le cosce fino a raggiungere l’ano e con le lunghe unghie cominciava a carezzarmi lo sfintere.

Infoiato com’ero, non ci volle molto: mentre con potenti colpi d’anca coadiuvavo il lavoro penetrando tanto in profondità nella sua bocca da farla tossicchiare, e facendo sobbalzare tutta la macchina, muggendo come un toro raggiunsi presto un prepotente orgasmo che le inondò la gola, la bocca, le labbra. Inghiottito quello che aveva, sfilò l’attrezzo ancora eretto e pulsante dalla bocca, per respirare, ma senza fare i conti con un ultimo schizzo di sperma caldo, che con un ultimo rantolio, emisi, imbrattandole il naso, il viso, e giù giù, il collo, il seno, chissà cos’altro…

Rise divertita a quell’inconveniente. Poi, con la stessa decisione con cui io l’avevo tratta dalla pista da ballo, aprì la portiera, mi sospinse fuori, e tergendosi appena il viso con il dorso della mano: “Forza, torniamo alla pista, ho una voglia matta di ballare, il resto a casa! E poi sarà meglio che io mi sciacqui un po’ la gola…”

Sconvolto a e ancora ansimante mi trascinai verso i tavolini, riassettandomi un po’ mentre Sara, un mojito in mano, era già sulla pista a dimenarsi offrendo a tutti la vista delle sue grazie.

Quando finalmente la serata era finita, io ero nuovamente infoiato come una bestia, e ora anche Sara voleva la sua parte. Appena a casa la buttai sul letto, ed eccitati come eravamo decidemmo di fare l’amore senza neppure spogliarci. Non che per lei facesse molta differenza visto il poco che indossava: lei sdraiata sulla schiena, le sollevai le gambe fino alla verticale, le divaricai, e la sua fichetta depilata era già lì a disposizione. Spostare il filo fradicio del perizoma non fu un problema; tra le gambe le colava il sugo di una eccitazione incontrollabile. Estrarre il palo di carne dai pantaloni e infilarlo in quel pertugio così ben lubrificato fu un attimo. Poi, mentre lei già fuori di testa iniziava a rantolare ed ansimare sentendosi penetrare, le feci ripiegare le ginocchia verso il busto, in modo da portare i suoi piedi, con le piante ancora calzate proprio di fronte al mio viso, e mentre cominciavo a pompare dentro e fuori dalla sua spacca dilatata dall’eccitazione, presi a leccare ed annusare piedi, tacchi, suole, dita e calcagni, assaporando il sapore salato del sudore e inalando i miasmi mefitici che ore di danza nella calura estiva sui sandali impregnati da anni di calzate potevano sprigionare…

Quando Sara urlando (come fa sempre lei) raggiunse l’orgasmo, io ero già prossimo e mordendole stretto un calcagno arrivavi al mio piacere, grufolando con la bocca piena. Le restai un po’ dentro, riempiendola di sperma caldo. Ma lei rapida si sfilò girandosi su un fianco.

Subito dopo mi rivolse il suo più bel sorriso, come a dire “Allora, l’ho organizzata bene la serata?”, si apprestò a sfilarsi il vestito e porgendomi i piedi come a sottolineare, ma non ce ne era bisogno, che spettava a me, come sempre, toglierle le scarpe. Il cick ciack, che il distacco delle piante sudate dalla soletta intrisa dei sandali provocò, stava già per eccitarmi di nuovo e Sara colse la mia intenzione, ma con sguardo da maestra severa mi intimò: “Ora basta, domani devo andare al lavoro! E’ già tardi…” Sfilò il perizoma, zuppo dei suoi e dei miei liquidi come uno straccio da terra usato, lo lanciò sul pavimento dove atterrò rumorosamente lanciando schizzi ovunque, e indossato il succinto baby doll si addormentò all’istante.

Io a malincuore mi spogliai e la imitai. Ma qualcosa mi era rimasto.

E forse per questo il mio risveglio era stato così allegro.

“Ben alzato!” esclamò lei con enfasi. Io mi feci sotto strusciandomi a lei.

“Non posso amore. Davvero non posso” mi gelò lei. “ho una riunione importante e non posso far tardi questa mattina…”

Io mugolai qualcosa cercando di convincerla. “Dai, cerca di calmarti. Devo proprio andare” replicò Sara, mentre, con rammarico, saggiava la durezza della mia asta e il turgore della cappella…

Poi di alzò di scatto: “Mi dispiace proprio amore, davvero non ho il tempo…” e si avviò a fare la doccia. Io cercai di farmi passare l’eccitazione, ma proprio non mi riusciva.

Al suo ritorno, fresca e profumata, mi trovò ancora steso sul letto, sulla schiena. Sopra di me, il lenzuolo sembrava un tendone da circo, e il palo era il mio…

“Oh, amore…” rise lei. Io ancora speravo in un trattamento veloce: spesso quando mi trovava così arrapato, la mattina, se il tempo disponibile non era sufficiente per un rapporto sessuale, Sara infilava le mani sotto il lenzuolo e con sapienti movimenti (se vuole, Sara, sa farmi venire anche in pochissimo tempo…) placava il mio ardore con una bella sega, talvolta con un intenso pompino (ma poi doveva rifarsi il trucco…); se ero fortunato, mi infilava i piedi già calzati tra le cosce, stringeva il palo tra le suole, e per me era fantastico…

“Amore ti giuro, sono gia in gran ritardo” mi spense ogni speranza Sara.

Io deluso, ma sempre arrapato, la osservai prepararsi in gran fretta: capii che la riunione doveva essere importante dall’abbigliamento, del tipo che Sara definiva “sexy-elegante-ma-non-troia”: reggiseno a balconcino di pizzo nero, senza spalline, che alla sua quarta dava un effetto push up niente male, tailleur nero con giacchetta ad un bottone che permetteva a chiunque di sbirciare, ma non troppo, il decolleté ben evidenziato, e gonna a tubino, con spacchetto, appena sotto il ginocchio; gambe nude (ehm, ehm,) e chanel nere con tacco a spillo di soli otto centimetri di altezza. Talvolta io criticavo quella mise affermando che, così agghindata, il tacco otto anziché un tacco dodici era il solo elemento distintivo tra lo stile “troia elegante” e quello “troia sguaiata”, ma in realtà Sara stava davvero bene così vestita…

Il fatto era che io restavo comunque infoiato a mille.

Sara venne a salutarmi, a modo suo: afferrò il palo attraverso le lenzuola e mi schioccò un bacione sulla cappella, imbrattando di rossetto il telo. Poi sorridendo si avviò al lavoro, lasciandomi solo con il mio attrezzo che reclamava giustizia.

La udii taccheggiare per il corridoio e lungo le scale. Poi si fermò la sentii risalire le scale, e il ticchettio delle chanel mi diede nuova speranza…

Si affacciò alla porta e, con quella sua risata aperta mi avvisò: “Non farti trovare così, sta arrivando Carmela…” e se andò ridacchiando.

Già, Carmela, come ogni giovedì. Carmela è la signora che, una volta a settimana, il giovedì mattina, viene a riordinare un po’ la casa che io e Sara, entrambi a lavorare, trascuriamo un po’: Carmela, lava i pavimenti, pulisce i bagni, spolvera, stira… e così via.

Matura matrona, cinquantacinque anni mal portati, è una gran lavoratrice. Emigrata al nord con il marito, ex muratore, che non condivide con lei la passione per il lavoro e che, appena ha potuto è andato in pensione prendendo due soldi che sperpera nelle sole attività che svolge, bere fumare e scommettere al bar con gli amici, fumare e bere davanti alla tv a casa, Carmela è costretta a sbarcare il lunario con questi faticosi lavori presso famiglie della zona dove abitiamo. Ovvio che non dedichi molta cura al proprio corpo, e probabilmente il marito si sfoga altrove…

Da anni viene da noi il giovedì mattina, sapendo di non disturbare in quanto siamo al lavoro, entra con le sua chiavi, sbriga le sue faccende e se ne va. Ormai ci conosce: sa che spesso la mattina facciamo tardi, per via delle mie abitudini di cui dicevo sopra e, di norma, vedendo una o tutte due le auto in cortile, avvertendo che qualcuno è in casa, si limita a svolgere lavori a piano terra, lasciandoci liberi di fare i nostri comodi al piano rialzato dove ci sono le camere, e fingendo di non sentire le urla e gli strilli che Sara, immancabilmente, emette a gran voce ogni qualvolta facciamo sesso.

La sentii entrare, le diedi una voce di saluto, come ad evidenziare la mia presenza, e decisi di alzarmi.

Subito lo sguardo si fissò a terra, dove mal disposte e in disordine, alcune paia di scarpe ammiccavano verso di me. Le fissai con cupidigia: erano il frutto della scelta effettuata la sera precedente prima di uscire. Come d’uso Sara mi aveva sottoposto una scelta di sandali tra cui decidere quelle da indossare quella sera; sulla base della mia scelta, lei avrebbe poi composto gli abbinamenti di vestiario.

Mi fermai a contemplarle: ovvio che l’arrapamento non calava.

Osservai un paio di ciabattine rosse col tacco a zeppa: erano, come gran parte del parco scarpe (oltre ottanta paia) di Sara, un mio regalo. Le avevo comprate su ebay da un negozio in Germania. Il tacco altissimo, oltre tredici centimetri, unito al fatto che non c’è zeppa sotto le dita, comporta un dislivello reale di tredici centimetri tra tallone e pianta, con un effetto di esaltazione dell’arco delle piante dei piedi di Sara che definire eccitante è dir poco. L’alta fascia sul piede lascia scoperte le dita fin quasi all’attaccatura: calzature fantastiche. Sotto ad un vestito lungo, con spacco inguinale, sono il massimo.

Poi mi soffermai su paio di ciabattine arancioni, tra le preferite di Sara: tacco dodici, fascia con perline sul piede e, soprattutto, soletta in stoffa bianca e nera, là dove appoggiano la pianta e le dita. Il particolare non è irrilevante: la stoffa ha presto assorbito il misto di sudore e polvere che d’estate si impasta sotto le piante, ha assunto un aspetto molto vissuto, chiazzato e liso, sporco all’indecenza, e l’effetto “piedi-sporchi-da-vecchia-zingara-troia” è per me eccitantissimo. Senza contare la capacità della stoffa di assorbire, e restituire, l’odore dei piedi della mia Sara.

La mia mano cominciava già a scorrere lungo l’asta bollente mentre osservavo il paio di zoccoli di legno, tacco tredici e zeppina da due e mezzo, alta fascia di pelle bianca fissata da borchie dorate, soletta e interno maculati, recentissimo regalo che Sara definisce zoccoli-da-zoccola e che in pubblico calza solo quando è decisa a chiarire a tutti la sua posizione nei confronti dell’erotismo e del sesso di piede. E quando lo fa, nessuno può fraintendere!

Infine, col groppo alla gola, scorsi i sandali che avevano vinto la sfida la sera precedente: li avevo scelti appositamente, come per invitare Sara a ballare: erano infatti i suoi preferiti per il ballo. Pur avendo un tacco altissimo, risultano infatti più comodi per via del laccetto che li assicura alla caviglia, della forma del tacco stesso, leggermente scampanato alla base, e soprattutto della pianta leggermente più larga. Quella pianta in cui poggiano più comodamente le dita affusolate ornate di anellini dorati, le lunghe unghia color fucsia o rosso fuoco, e soprattutto la parte della pianta prossima all’attaccatura delle dita dove si sono presto formati calli per me seducenti, e dove nel vorticoso danzare delle serate estive, la pelle madida di sudore impasta con la polvere deliziosi grumi che poi spande all’interno della calzatura.

E proprio quei grumi odorosi erano spiaccicati all’interno di entrambi i sandali: sandali ormai strausati da Sara, anni e anni di balli e sudori, che hanno impregnato le solette ormai opache e sbiadite e piene di chiazze, ma anche i laccetti sono ormai intrisi, rendendo quelle calzature di gran lunga le più odorose, olezzanti e fetide di tutto il parco estivo di Sara (per gli stivali naturalmente è un discorso a parte…).

Andai rapidamente nello studio, disposi in parata tutte quelle fantastiche calzature, rimirandole come se fossi indeciso su quali scegliere, ma in realtà la mia scelta l’avevo già effettuata: i sandali neri, odorosi e puzzolenti, ancora intrisi degli umori della sera precedente. Scelsi accuratamente quello più ricco di grumi di polvere e sudore, e lo portai alla bocca e al mio naso. Calzai l’altro sul palo ardente, stringendo il laccetto all’inverosimile sullo scroto per esaltare l’intensità dell’orgasmo che stavo per procurarmi, e iniziai a leccare e inalare i fetori del primo. Con la lingua percorrevo in lungo e in largo l’interno della calzata, poi annusavo per sentire l’olezzo esaltato dall’umidità, poi infilavo il tacco in fondo alla mia bocca, come a simulare un pompino alle scarpe della mia Sara, poi riprendevo a leccare e assaporare. E mentre con il sandalo sul palo pompavo su e giù incessantemente, muggivo e grugnivo per quanto ero infoiato e assetato di piacere.

Un attimo prima della imminente esplosione colsi con la coda dell’occhio un ombra sulla porta: gli occhi semichiusi nella ricerca del godimento, scorsi l’imponente sagoma di Carmela.

Come la vidi feci un balzo indietro, come a nascondermi alla sua vista, rovesciando la sedia su cui ero seduto e lasciando cadere a terra il sandalo che stavo avidamente leccando. Con il cuore in gola tentai disperatamente di sfilare l’altro sandalo infilato sul palo di carne, ma il laccetto stretto sullo scroto me lo impediva, nonostante i miei ripetuti tentativi. E intanto, cercando disperatamente qualcosa per coprirmi, gridavo “Mi scusi, mi scusi Carmela, non l’avevo sentita salire!”.

Contemporaneamente anche Carmela, evidentemente choccata dalla visione inaspettata aveva fatto un balzo indietro e, da dietro la porta strillava: “Perdono, chiedo perdono, non desideravo disturbarla, non pensavo di essere inopportuna!”. Mi chiedevo cosa avesse visto e intuito in quel breve istante, se solo il mio corpo nudo, o anche ciò a cui ero intento… Nel frattempo acciuffai un accappatoio, lo infilai di tutta fretta stringendolo in vita con la cintura, “Ancora un attimo Carmela, ecco ora sono più presentabile, mi scusi ancora, stavo andando a fare la doccia…” bluffai avviandomi alla porta.

Carmela, profondendosi ancora in mille scuse si riaffacciò, e buttò uno sguardo nella stanza: beh, ero forse più presentabile di prima, ma sempre con addosso solo un accappatoio stretto in vita e con un evidente gonfiore che faticavo a non fare uscire dall’apertura della stoffa; fortunatamente ero riuscito a togliere il laccetto e il secondo sandalo ora giaceva ai miei piedi.

“Le chiedo ancora perdono per l’intrusione, è che la signorina Sara mi ha detto di aver lasciato quassù la spazzola dell’aspirapolvere…”

Bella idea che aveva avuto la mia Sara. Bella davvero.

E se lo avesse fatto apposta? Le piaceva fare quel genere di scherzi…

Detti per scontato che nel breve attimo Carmela non avesse realizzato appieno quello che stavo facendo e mi rilassai un po’: “Beh, cerchi pure qui Carmela, ma non mi pare di averla vista..”

Osservai meglio la signora: aveva la divisa di ordinanza estiva, consistente in un ampio fazzoletto bianco attorno al capo, per evitare che sudore e capelli le cadessero davanti al viso nel corso dei lavori, un’amplissima tunica bianco sporco, che riusciva peraltro a essere tesa sulla pancia prominente, niente calze e ai piedi zoccoli in legno traforati, senza tacco, come quelli che usano gli infermieri negli ospedali.

La osservai intenta a cercare la spazzola per lo studio. Veramente grassa, più larga che alta, i lunghi capelli nerissimi raccolti in una coda, seno pancia e culo enormi, braccia grosse e mani ruvide, ascelle pelosissime, polpacci da rugbista, reticoli di vene varicose: ero ancora attizzato come una bestia, ma non avevo di fronte una pin up!

Si chinò a terra per cercare sotto al divano, mostrandomi un culone di dimensioni enormi: sotto la leggera stoffa tesa, potevo distinguere nettamente il segno di mutande chiaramente inadeguate al volume da contenere. E’ difficile ragionare con un serpente caldo tra le gambe, e io cominciai a guardarla con più interesse. Per di più, ponendosi a quattro zampe, si era parzialmente sfilata gli zoccoli, e mi esibiva due calcagni enormi, completamente ricoperti da una spessa cotenna gialla e screpolata, meglio, solcata da profondi canyon neri di sporcizia.

Non avevo mai degnato di attenzione quella donna matura e mal tenuta, ma cominciai a riconsiderare la cosa…

In quella posizione la pancia quasi le toccava terra, e due enormi mammellone, una sesta, una ottava, chissà…, ballonzolavano a destra e a sinistra. Quando si rialzò, era rossa e sudata per lo sforzo, ma io non ero meno accaldato. Mi guardò, temetti, anzi fui certo, che il gonfiore non le fosse passato inosservato, ma si guardò ancora attorno, e buttò l’occhio sull’apparecchiata di sandali sulla scrivania, e su quelli a terra: mi lanciò uno sguardo interrogativo. “Stavo cercando di fare qualche riparazione sui sandali di Sara…” mentii pietosamente, “Sono molto belli ma usandoli si rovinano facilmente”.

Vidi che l’argomento la interessava. Guardò infatti con ammirazione quelle calzature e annuendo con approvazione rispose: “La signorina Sara possiede molte scarpe, e sono tutte bellissime: avrà molte occasioni eleganti per sfoggiarle…”

In effetti Carmela doveva conoscerle paio per paio: Sara ne possiede oltre ottanta, quasi tutte regalate, e scelte, da me; quasi tutte con tacco altissimo, e molto sexy.

Chissà quante volte Carmela le ha raccolte da terra, sparse e abbandonate da Sara per tutta la casa, magari dopo i defilè a mio esclusivo beneficio, o di ritorno dopo una serata a ballare; chissà quante volte le ha riposte in ordine nelle scarpiere, chissà quante volte le ha ammirate…

“Sì” ammisi io, “a Sara piacciono molto le scarpe, e le piace averne tante. Soprattutto con il tacco a spillo” rimarcai con enfasi, “Piacciono anche a lei, Carmela? Ne possiede molte?” Mi ingolosivo nel porle queste domande.

“Eeh…, purtroppo mi piacerebbero molto, ma non me lo posso permettere” sospirò Carmela, “sono tutte molto costose, troppo per me…”

“Beh, in effetti, molte sono piuttosto care, ma cercando, si può trovare qualcosa anche a buoni prezzi…” argomentai io con competenza; l’argomento, come sempre, mi eccitava. “Comunque, per una qualche occasione speciale, può chiederne in prestito un paio a Sara…” buttai lì, già eccitato all’idea, “mi creda, gliele presterebbe volentieri!”

“Davvero?” si illuminò, poi rabbuiandosi “ma forse non è il caso, se poi glie le rovino?!

“Non si preoccupi, ne possiede tante…” incalzai sempre più eccitato e, con un filo di voce “La misura le va bene?”

“Mah, non saprei…” esitò, certamente mentendo, Carmela: se davvero le piacevano tanto, era impossibile che in tutto questo tempo, trascorso a raccogliere e riporre quelle fantastiche calzature, non avesse mai ceduto alla tentazione di indossarle. Presi il suo dubbio come un sì, e con la voce rotta dall’eccitazione sussurrai: “Forza, ne provi un paio…”, e a lei che, golosa, ancora esitava, io ancor più avido ed eccitato, mi avvicinai, mi accoccolai ai suoi piedi, seduto a gambe incrociate, afferrai gli altissimi zoccoli-da-zoccola, e allungai una mano come per incoraggiarla a sfilare un piede dalle calzature da lavoro e a porgermelo.

Seguì un lunghissimo istante di esitazione poi, ad un mio ulteriore cenno di incoraggiamento, il donnone cedette e mi porse l’estremità.

Ero eccitatissimo: il desiderio, non tanto segreto, di ogni amante di scarpe e piedi femminili, è di poter essere, almeno una volta nella vita, il commesso di un negozio di scarpe, addetto a provare, in ginocchio ai suoi piedi, splendide calzature a una donna sconosciuta. E io lo stavo realizzando: il fatto che le scarpe calzate fossero quelle della mia ragazza, aggiungeva un fattore ancor più intrigante alla cosa.

Con la mano tremante allungai il palmo aperto sotto la sua pianta e con delicatezza serrai le dita, indugiando in una lunghissima languida carezza.

La sua pianta era dura come il marmo, ruvida come una carta abrasiva: continuai a far scorrere i polpastrelli avidi su quella pianta callosa, avanti e indietro, lentamente, non volevo mai smettere.

Carmela equivocò pensando che esitassi a calzarle lo zoccolo e si schermì: “Ho i piedi sporchi, e un poco sudati…, non vorrei attaccare un cattivo odore a queste scarpe bellissime…”

La rassicurai, svelandole che anche Sara, specie dopo una giornata intera con i piedi chiusi nelle scarpe, e ancor più a seguito di una serata a ballare, aveva spesso piedi sudati che emanavano un olezzo intenso, e che comunque, a me, la cosa non dispiaceva affatto.

La cosa parve confortarla, e spinse il piede avanti per incoraggiarmi a calzarle lo zoccolo: non stavo più in me dall’eccitazione, una paurosa erezione sollevava in modo abnorme un lembo del mio accappatoio, io non volevo mollare qual piedone, ma mi decisi a infilarlo nella calzatura.

Quegli zoccoli erano un regalo recente, Sara li aveva indossati solo alcune volte, e la calzata nell’alta fascia di pelle bianca era stretta: il piedone di Carmela faticava ad entrare, per quanto io stringendo il suo calcagno cercassi di forzare la pianta nel pertugio.

Ormai fuori di testa mi chinai come per alitare all’interno dello zoccolo (“per ammorbidirlo” dissi); in realtà volevo portare il naso più vicino al suo piede. Con estasiante stupore constatai che dalle dita emanava un fetore intensissimo: non era solo il lavoro, era che davvero non doveva lavare quei piedi molto spesso! E io apprezzavo. Le grosse ruvide ditone portavano unghie poco curate con tracce di uno smalto non recente: croste sparse color corallo, che accentuavano un effetto trash che mi arrapava all’inverosimile…

Spinsi ancora e finalmente il piede penetrò nella calzatura, e quella vista mi provocò una sensazione di estasi: lo stesso effetto che si prova quando il membro caldo ed eccitato penetra nel pertugio stretto (quale che sia) di una donna desiderata a lungo.

Afferrai subito il secondo piede di Carmela per calzarlo nell’altro zoccolo: identica operazione, ed eccitazione ormai fuori controllo.

Carmela abbozzò qualche passo in equilibrio instabile su quei trampoli, muovendosi con cautela, e ad ogni passo emetteva un lamento per il dolore che la stretta calzata le provocava, e la mia eccitazione progrediva con quei lamenti: il miracolo si era, come sempre, compiuto, quel miracolo per cui ogni donna, anche la più insignificante e racchia, si tramuta in una dea se issata sui tacchi altissimi di zoccoli sensuali.

Osservando ormai in estasi quegli enormi calcagni screpolati ciabattare sui tacchi della mia Sara, capii che non potevo più attendere, dovevo riapproppriarmi di quei piedi: “Venga Carmela, che le infilo queste…”, quasi ordinai brandendo le ciabattine strausate arancioni; avevo deciso che “piedi-sporchi-da-vecchia-zingara-troia” era la definizione che più si confaceva a quelle fetide durissime estremità.

La vidi camminare verso di me, dondolando su quegli altissimi zoccoli, dall’alto mi dominava, io a terra proteso ai suoi piedi, e il suo atteggiamento era un po’ cambiato, meno sottomesso, più altero, quella postura le dava più sicurezza… Se non aveva capito ancora l’effetto che mi provocava, le tolsi ogni dubbio: sfilatile, non senza fatica, gli zoccoli, mi allungai riverso ai suoi piedi e, prima di calzarle le ciabattine da zingara, non resistetti, afferrai un suo piede, lo portai alla bocca e cominciai a leccare. Ormai non controllavo più le mie emozioni e i miei gesti: incurante di quello che poteva pensare, presi in bocca la noce callosa, accenno di alluce valgo che marcava le sua estremità, e presi a suggerlo con le labbra, delicatamente. Poi passai la lingua sul grosso durissimo callo sotto la pianta, e arrivai alle grosse dita, ficcando la punta a cogliere ed assaporare la sporcizia odorosa (quanta ce ne era…) racchiusa tra ciascun dito: che fetore inebriante! Nel frattempo con le mani carezzavo goloso il durissimo ruvido tallone, come ad anticipare le successive leccate.

Intanto il movimento mi aveva aperto l’accappatoio rivelando la mia incontenibile erezione: Carmela non poteva più avere dubbi, e la vista del serpente pulsante e ardente, avvolto da grosse vene violacee e sormontato da una cappella gonfia e paonazza, che garriva verso l’alto, verso di lei, la impressionò: emise come un urletto soffocato di sorpresa, e ormai le era tutto chiaro.

“Carmela” mormorai come implorandola…

Mi rivolse uno sguardo di cupidigia, chiuse gli occhi e in un sospiro sibilò tra il mio stupore: “Dio mio, la prego Alfredo, mio marito non mi tocca da più di tre anni…, la prego…”

Rotto ogni indigio, le calzai le ciabattine da zingara, continuai a lungo a leccare e succhiare le estremità di Carmela, nel contempo inzuppando la stoffa lurida delle ciabattine di Sara, riavendone in cambio il conosciuto aroma che si mischiava a quello selvatico intensissimo di Carmela.

Infine mi sollevai sulle ginocchia, di fronte a Carmela che stava in piedi di fronte a me, le sollevai la corta gonna della tunica fin sopra l’enorme panzone, e solo mentre afferravo le mutandine bianche per calarle mi resi conto della spaventosa villosità della donna: la foresta di pelo nero più estesa che avessi mai visto! Partiva immediatamente sotto l’ombelico, si allargava a dismisura ai lati fino a sfiorare le anche, scendeva, nerissima e irsuta verso l’addome, invadeva prepotentemente l’interno delle cosce, circondando la vulva e conquistando come un’erbaccia invadente lo spazio fra le natiche, oscurava l’ano e parte delle natiche stesse. Ancor più impressionante la lunghezza di quel vello: in mezzo alle gambe, proprio intorno alla grande spacca e in mezzo al culo, lunghi e ondulati come la barba di una capra, ciuffi di peli fittissimi sembravano pendere fino a metà coscia!

Carmela già gemeva come un vitello; indugiai a baciarle le cosce, a carezzarle le enormi natiche e finalmente infilai una mano in mezzo alla foresta di pelo trovando una spacca fradicia e immensa: era arrivato il momento. Ricordandomi della visione di prima, quando cercava la spazzola sotto al divano, la fece mettere giù a quattro zampe, e la vista dei talloni e delle piante che, in quella posizione, si distaccavano dalle ciabattine di Sara, mi diedero il colpo di grazia: mi insinuai tra le cosce grasse, mi feci sotto al culone immane e la infilai alla pecorina.

Più che una pecora sembrava però una vacca, un’enorme possente vacca in calore:e mentre io la pompavo con colpi lenti e ampi, lei gemeva piano invocando il piacere e accompagnando le mie spinte con colpi potenti che rischiavano ogni volta di farmi uscire e scagliarmi lontano. Per tenermi non trovai di meglio che afferrarmi alle enormi zinne che, da sotto, ad ogni colpo ballonzolavano pesantemente sbattendo, con rumore forte sulla pancia gonfia che, in quella posizione scendeva quasi a sfiorare le terra.

Stringere quelle mammellone enormi, mastodontiche (altro che ottava misura…), sentire tra le dita quei capezzoli così grossi sensibili, aumentava la mia eccitazione e il mio desiderio di piacere: pompavo, pompavo, la vacca muggiva e godeva, scalciava e ansimava, io pompavo più intensamente cercando il piacere ma…, per me niente. Lei urlava, piangeva, mi incitava, io continuavo a pompare, a strizzare mammelle, ma l’orgasmo non arrivava: quella spacca enorme e fradicia, era davvero troppo grande, non la sentivo, non mi stringeva…, maledizione quattro gravidanze e l’età avanzata le avevano lasciato una voragine dove il mio palo si muoveva senza sentirla.

Era dalla mattina presto che ero infoiato e adesso, sul più bello, non accadeva niente!

Presi a pompare sempre più violentemente, ad ansimare e rantolare sempre più forte, come a darmi coraggio, cominciai ad insultarla, urlandole della grassa e vecchia puttana in calore, della porca zozza e infoiata, come avevo visto fare nei film porno, e mentre lei quasi piangendo dal godimento raggiungeva un altro orgasmo, io, gocciolante sudore e frustrazione, non arrivavo a niente…

Mollai la presa delle zinne e passai ad afferrarle i calcagni callosi e ruvidi, niente di più eccitante per me, e continuavo a sgroppare sulla schiena di Carmela senza esito.

Pompavo e pompavo, cavalcandola come un bovaro con la sua giumenta, mentre lei mansueta come una pecora posseduta dal suo pastore, attendeva il suo destino… Ma intanto a tanto pompare si eccitava di nuovo e riprendeva ad ansimare.

Al suo terzo, intensissimo orgasmo, Carmela non ce la fece più e ancora muggendo di piacere, allargò braccia e gambe e, con un gran tonfo di pancia e zinne, stramazzò a terra, con me sopra che ancora mi agitavo. Mi sfilai e scivolai a terra al suo fianco.

Quando si sollevò si volse a me con gli occhi rigati di lacrime, lacrime di piacere e commozione, e disse solo “Grazie”.

Poi capì che qualcosa non andava, mi guardò tra le gambe, sorrise comprensiva:

“Non è ancora sazio… Qui ci vuole il tocco della signorina Sara! Lei sa come si fa. Vi sento spesso, il giovedì mattina mentre pulisco, voi di sopra… ci vuole qualcosa della signorina Sara.”

Sfilò una ciabattina arancione, si mise a cavalcioni su di me, volgendomi la schiena, il viso rivolto ai miei piedi, il grasso immenso culo verso il mio mento, il cespuglione zuppo a gocciolare sul mio petto, afferrò il palo di carne gli infilò la ciabattina da zingara; fradicio e vischioso dei suoi umori fu un gioco far scendere la calzatura fino alla base dell’asta, impugnandola per il tacco fare strusciare la soletta consunta sul mio scroto, prendere il resto del palo e ficcarselo in bocca.

Cominciò un pompino da favola, sapeva come succhiare, dove leccare, sapeva anche sfregare la ciabattina sul mio scroto: pompava, succhiava, aiutandosi anche con le mani, carezzandomi l’ano e sfregando la ciabattina. Stavolta era la volta buona, pensai, proprio la volta buona, voltai la testa di lato e mi trovai la pianta fetida e sporca di un piede di Carmela, ne misi in bocca quanto più potei e finalmente, mordendo forte, godendo come un maiale, il corpo squassato da ondate di piacere, assaporando il sapore dei suoi piedoni, finalmente venni inondandole la bocca di sperma caldo e rantolando.

Carmela si lasciò andare, allargò le coscione e si adagiò sul mio corpo, il cespuglione ancora fradicio a inondarmi il petto; esausto per lo stremo dell’orgasmo, mentre lei sopra di me, dolcemente continuava a leccarmi il membro, che finalmente aveva riposo, fissai quell’enorme antro oscuro a una spanna dal mio viso, quell’incredibile foresta di pelo zuppo, e sentivo l’odore forte, selvatico che ne proveniva. Fissai l’attenzione sul gigantesco culo sopra di me, cercando di indovinare il buco, ben nascosto dai folti ciuffi di pelo nero.

Anche quello emanava un fetore intenso: la zozzona non ama molto la pulizia, pensai. Ma ricordandomi dei suoi piedoni, conclusi che, in fondo, era meglio così.

I suoi piedoni. Al solo pensiero mi riattizzai. Girai ancora il volto e mi trovai di nuovo un calcagno calloso a sfiorarmi il naso. Annusai, inalai, allungai la lingua.

E il serpente era di nuovo in vita.

Carmela che ancora lo teneva in bocca, ammosciato, e amorevolmente lo coccolava, se ne avvide ancor prima di me: lo sentì crescere in bocca, crescere ancora, gonfiarsi e irrigidirsi, la cappella che si dilatava fino a tendere la pelle, le vene che pulsando si portavano in rilievo, dovette sentirlo con la lingua, sentire l’asta che si allungava e che non poteva più essere contenuta per intero nella sua bocca, e in parte le si sfilava dalle labbra…

Dovette sentirlo, se con respiro profondo sussurrò: “Ne abbiamo ancora, signorino Alfredo…”; proprio così, signorino, come se fosse la mia istitutrice.

Sollevò il corpaccione grasso e sudato, e volgendosi a me disse: “ I miei piedi le piacciono…”

“Dio, se mi piacciono Carmela…, sono fantastici!”

Ci eravamo già capiti: la feci accomodare, sempre a quatto zampe, come prima, sulla scrivania (e temetti che l’immane peso facesse collassare la struttura, che invece scricchiolò, ma tenne botta).

Per la lunga sulla scrivania, il viso appoggiato sullo schermo del computer, il culone e le piante dei piedi appena sporgenti ad una estremità.

“Aspetti” mugolò Carmela “Qualcosa della signorina Sara…”

Afferrai il perizoma zuppo dalla sera prima, che giaceva a terra, non senza fatica le alzai a turno le gambacce poggiate sul tavolo, come a ferrare una grassa giumenta: il laccetto elastico, con un po’ di sforzo, accolse i grossi polpacci, le grasse cosce cellulitiche, e finalmente prova suprema, l’immane culone. Teso come una corda di violino, sparì immediatamente tra le enormi natiche, sepolto tra i ciuffi di pelo nero ma…, mi indicò la via per il buco puzzolente.

Dio mio, come lo desideravo! Puntai la cappella, ormai di fuoco, proprio in mezzo a quelle natiche, la intinsi tra gli umori caldi, la appoggiai con forza, mi feci largo…, mi fermai.

Non potevo, non potevo. Per rispetto a lei, ma anche di Sara, con cui non lo avevo mai fatto. Se doveva essere, che fosse lei la prima.

Ma occhio non vede, cuore non duole…, sì, ma Carmela? Potevo approfittare di lei a tal punto?

Prima di cambiare idea abbassai la mira, e posi la cappella tra le piante grasse e dure. E non me ne pentii: in piedi dietro a Carmela, accucciata sulla scrivania, il grasso culo che mi sbatteva contro lo stomaco, pareva che la inculassi, ma le fottevo le piante ruvide. E rimirando il perizoma di Sara che le segnava la carne sudata, pompavo come un toro alla monta, godendo del contatto che ad ogni spinta, le piante callose elargivano tra le mie cosce, sul mio ventre.

Urlavo di piacere, e anche Carmela muggiva, non so se per l’eccitazione o se solo per compiacermi, ma mi piaceva e mi eccitava ulteriormente, sentivo l’olezzo del suo grasso culone, misto a quello degli umori della mia Sara, rimasti sul perizoma (davvero grande idea indossare qualcosa di lei…), e pompavo con forza rischiando di distruggere scrivania e computer, non me ne fregava niente, volevo solo godere i piedoni fetidi di Carmela.

Venni finalmente, e fu ancora più intenso della prima volta, spargendo sperma bollente, a fiotti, tra le sue piante, i suoi polpacci, le sue cosce grasse, le natiche immani, il perizoma di Sara.

Fu un orgasmo indimenticabile: fottere tra i piedi maturi quel gran corpaccione di vacca accovacciata e mansueta mi diede un piacere folle: continuai a pompare a lungo, come a perpetuare il piacere, sbattendo quella massa di carne tiepida che avevo di fronte. Poi, finalmente mi accasciai addosso a lei.

Restammo a lungo così, poi mi rialzai. Anche Carmela si rialzò, e sfilandosi il perizoma di Sara, ancor più fradicio di prima, ed intriso dei suoi olezzi, lo sguardo verso il basso ammise:” Lo so, lo so, con gli anni mi si è allargata, e gli uomini faticano a trovare il loro piacere. Mio marito, quando ancora ne aveva voglia, preferiva mettermelo…” esitò un istante, come vergognandosi, “nel culo…”

“Cristo santo, Carmela!” esclamai io già infoiato, maledizione, perché avevo esitato prima…

“No!” mi stoppò lei, “No”.

“La prossima volta…” supplicai.

“Non ci sarà una prossima volta”, decisa. Poi, più dolcemente:”E’ andata così, e le sarò sempre grata di questo, ma non accadrà mai più”. E al mio sguardo interrogativo aggiunse: “La signorina Sara. Le dobbiamo rispetto, io e lei.” Non aggiunse altro, osservò quasi con rimpianto il perizoma di Sara mentre me lo porgeva e cercò il mio assenso.

“E’ giusto.” Ammisi io. Non serviva dire altro.

Era pomeriggio avanzato, e non mi ero ancora ripreso del tutto, quando sentii la voce squillante di Sara annunciarsi: “Amore, amoreee…, sono tornata” e il gaio ticchettio delle chanel che varcavano la porta e salivano le scale.

“Povero amore, ti ho pensato tutto il giorno, lasciato qui solo, così arrapato…,”; si guardò un po’ intorno: le scarpe erano ancora sparse a terra per lo studio come le avevo lasciate, il perizoma zuppo di lei, di me e di Carmela, in un angolo a terra…

Sorrise un po’ beffarda “Beh, immagino che, in qualche modo, tu ti sia dovuto arrangiare…” aggiunse raccogliendo il perizoma da terra e portandolo al naso “da solo…, o con qualcuno che ti ha dato una mano… Beh, in fondo sarebbe anche giusto, non si lascia il proprio amore così arrapato, da solo in casa…”; e sorrideva, ma continuava ad annusare il perizoma con un fare un po’ pensieroso, qualcosa non le quadrava…

“Dio che disordine, se non l’avessi vista arrivare, direi che Carmela neppure è venuta oggi” e ripeté rimarcando “come non fosse neppure venuta”.

Era venuta, tre volte era venuta, pensai io, un po’ vergognandomi, un po’ temendo che Sara, come sempre, mi leggesse nel pensiero.

Non dissi niente, rimasi lì a testa bassa, ma Sara mi gelò: “L’hai pagata, dopo?”

Volevo sprofondare, non osavo rialzare la testa, ma capii che Sara cercava il mio sguardo: avvampando, rosso come un peperone, le orecchie che sembravano prendere fuoco, farfugliai confuso: “Co… cosa? Chi?!”

“Chi?! Chi?! Carmela, naturalmente, Carmela! L’hai pagata?”

“Ca… Carmela?! E…, e perché?” Oddìo, ma come aveva fatto a sgamarmi?!

“Amore, sì, certo che sto parlando di Carmela” e continuando a tenere in mano il perizoma, portandolo ancora al naso, si chinò a raccogliere le ciabattine sparse, mostrandomi il genero decolletè, “ma cosa credi, che quelle donne certe cose le facciano così, per la gloria?”

Sentii crollarmi il mondo addosso: una puttana, Carmela faceva la puttana, la troia; e Sara lo sapeva, e non mi aveva detto niente.

“Ma come, tu sai…”

“Amore, non voglio sapere cosa hai combinato oggi, ma sei rimasto un po’ rincoglionito. Dunque, da capo: tutti i giovedì Carmela viene da noi a far pulizia. Giusto?”

“Giusto” annuii io, senza capire.

“Quasi giusto” mi corresse Sara, guardandosi intorno con una certa aria sprezzante “Certe volte fa qualcosa d’altro, evidentemente: di certo non pulisce” e mi indicò il disordine attorno.

“E per questo, tutti i fine mese noi la paghiamo. Giusto?”

“Giusto.”

“Bene. Oggi è fine mese. Ripeto la domanda: l’hai pagata?!”

Riemersi dall’abisso. Con visibile sollievo. Mi parve di rinascere, ero salvo. “No, mi sono dimenticato. Tutto dimenticato”

“Bravo, dimentica tutto. Tutto.” Sottolineò, istillandomi di nuovo un po’ di inquietudine.

“Ci penserò io, la prossima volta.” E con il più radioso dei suoi sorrisi aggiunse: “E sarà meglio che pensi anche a te, prima che tu mi rincoglionisca del tutto…”

Sfilò le chanel profumate, calzò le ciabattine arancioni da zingara, anch’esse fradice di me e di Carmela, e mi venne incontro slacciandosi la gonna…

E aveva ancora in mano il perizoma zuppo.

Vota la storia:




Iscriviti alla Newsletter del Sexy Shop e ricevi subito il 15% di sconto sul tuo primo acquisto


Iscrivendoti alla newsletter acconsenti al trattamento dei dati personali come previsto dall'informativa sulla privacy. Per ulteriori informazioni, cliccando qui!

Non ci sono commenti

Per commentare registrati o effettua il login

Accedi
Registrati